La salute è donna

di Ilaria Sicchirollo

In occasione della Giornata internazionale dei diritti della donna, meglio conosciuta come “Festa della donna”, parliamo delle professioniste che operano in ambito sanitario. Una recente indagine del Ministero della Salute rivela che in questo settore in molti ruoli rappresentano la netta maggioranza

Quasi sette operatori sanitari su dieci sono donne: è il risultato di un’indagine del Ministero della Salute che ha censito il personale sanitario nell’ambito del Sistema sanitario nazionale. Una presenza, quella femminile, che è significativamente aumentata negli ultimi anni. Il periodo analizzato è quello dal 2010 al 2020, ma il trend è ancora in salita, anche perché le percentuali più elevate si hanno proprio tra il personale più giovane, di età inferiore ai 45 anni.

Tra le categorie maggiormente rappresentate da professioniste donne, ci sono, in particolare, psicologhe, biologhe, personale riabilitativo e farmaciste. Quest’ultima categoria, oltretutto, è da tempo roccaforte femminile, con percentuali sopra al 70% già da diversi anni, percentuali confermate anche dagli iscritti alla facoltà di Farmacia. E sono donne, infine, due farmacisti su tre tra coloro che hanno ottenuto l’abilitazione alla somministrazione dei vaccini anti Covid, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità.

“La crescente presenza femminile nel mondo della sanità italiana, grazie al suo apporto peculiare e specifico, contribuisce in maniera fattiva e costante all’incremento della qualità, della sicurezza, del gradimento dell’assistenza, e a un rinnovato approccio alle cure sanitarie” si legge nel Rapporto “Le donne nel Servizio sanitario nazionale” del Ministero della Salute.

Sanitari non di professione: l’esercito delle caregiver

E c’è un’altra categoria che si occupa della salute dei propri familiari, pur svolgendo altre professioni: è quella dei “caregiver familiari”, cioè coloro che si trovano a doversi prendere cura di un familiare che non è più in grado di occuparsi di sé, per età o per problemi di salute. Sarebbe meglio dire, però, “le” caregiver, perché è un incarico svolto prevalentemente dalle donne, anche se è difficile dare numeri precisi: quello del caregiver familiare è, infatti, un ruolo che si svolge “dietro le quinte”, e che tende a “sfuggire” a indagini e statistiche. Non è un ruolo che sempre si sceglie, ma che ci si trova a dover assumere, spesso improvvisamente, stravolgendo la propria vita di madri, figlie, mogli, sorelle. Un ruolo prezioso e fondamentale nel tessuto sociale, che ancora non gode del giusto riconoscimento e della necessaria tutela giuridica. 

La medicina di genere

A fronte di questo scenario sempre più “rosa” nell’ambito della salute, una riflessione va fatta a proposito della medicina di genere. Uomini e donne sono diversi nel metabolismo, nel modo di invecchiare, nell’esposizione ai rischi e nella risposta alle terapie. Ci sono differenze sostanziali nel modo di ammalarsi e di guarire: è necessario, quindi, che siano sviluppati programmi di prevenzione, metodologie diagnostiche e terapie su misura per l’uomo e per la donna. Da qui il concetto di medicina di genere, definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) come lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona.

L’iter per una piena applicazione della medicina di genere è ancora lungo. In Italia si è cominciato a parlarne nel 1998, e nel 2019 il Ministero della Salute ha compiuto un primo importante passo approvando formalmente il “Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere sul territorio nazionale”. Il percorso si è poi rafforzato con il decreto di settembre 2020, che istituisce l’Osservatorio dedicato alla medicina di genere presso l’Istituto Superiore di Sanità.

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