Emicrania con aura, l’importanza della diagnosi

A volte l'emicrania può essere preceduta da sintomi che “preannunciano” l’imminente arrivo del mal di testa. È il caso dell’emicrania con aura, un insieme di disturbi che anticipano l’attacco e la cui intensità può persino superare il dolore della cefalea stessa. E rendere difficoltosa la diagnosi.

La cura dell’emicrania ha avuto un’importante evoluzione negli ultimi anni, grazie a una più diffusa cultura sul tema e all’introduzione di terapie innovative. Ne abbiamo parlato con il dottor Antonello D’Attoma (nella foto), dirigente medico neurologo Asl di Bari, responsabile dell’Ambulatorio multidisciplinare per lo studio e la cura delle Cefalee Dss 14 Putignano. «Il mio ambulatorio si occupa di cefalee da alcuni decenni» ci spiega il dottor D’Attoma «e ospita pazienti di tutte le età: bambini, adulti e ultracentenari.

Negli ultimi 5 anni la terapia dell’emicrania è stata rivoluzionata dall’avvento degli anticorpi monoclonali, una vera innovazione nella terapia delle cefalee che ha cambiato la vita di molti pazienti, anche per l’assenza degli effetti collaterali tipici delle cure tradizionali, che richiedevano grande cautela nella prescrizione. Ma a essere cambiato è tutto l’approccio verso questa patologia: c’è una maggiore sensibilizzazione anche presso la medicina generale, e più consapevolezza dell’importanza dello stile di vita, dell’alimentazione, di un approccio olistico verso l’emicrania».

Nuovi percorsi di cura per l’emicrania

«Nel mio centro, per esempio, abbiamo un’organizzazione di tipo multidisciplinare che prevede la presenza del medico dietologo, del fisiatra, dello psicologo. In questo modo, anche nell’arco di poche ore, i pazienti riescono ad accedere a tutta una serie di consulenze, oltre alla visita neurologica». Si tratta di passi molto importanti nella cura di una patologia che, ricorda D’Attoma «è stata per molti anni tra le più sottovalutate, in tutte le età e fasce sociali, e accompagnata da falsi miti e credenze errate.

Oggi in molte regioni sono stati attivati i Pdta (Percorsi diagnostico terapeutico assistenziali) per la cefalea ed è stata finalmente riconosciuta l’entità di malattia sociale, ma i pazienti emicranici sono penalizzati perché la malattia non è ancora inserita nelle tabelle di invalidità civile, con conseguente carico del ticket anche per i malati più gravi. C’è, insomma, ancora tanto da lavorare, anche a livello burocratico e legislativo».

La storia di Marco

Un caso molto esemplificativo di sottovalutazione del problema e ritardo nella diagnosi è quello di un paziente di circa 40 anni che si presentò nel centro cefalee con una lunga storia di insonnia e di ansia. «Marco (nome di fantasia), insegnante di musica, assumeva farmaci per curare un’importante condizione ansioso depressiva che negli ultimi tempi era stata gestita anche dallo psichiatra per una forte tendenza alla somatizzazione. Ma i suoi disturbi non si limitavano al sonno: Marco era soggetto a una sorta di “rallentamento” motorio che si presentava all’improvviso con stanchezza nelle gambe, difficoltà di movimento, formicolio alle braccia e difficoltà nel linguaggio (soffriva anche di una leggera balbuzie).

Tutti questi disturbi, pur di durata contenuta (circa 20/30 minuti), lo avevano portato a limitare molto le sue attività e la vita sociale. Domande approfondite al paziente ci permisero di scoprire che questi attacchi erano seguiti da una lieve cefalea. Intuimmo, così, che queste crisi sporadiche erano chiaramente attribuibili a una forma di emicrania emiplegica, cioè una varietà rara dell’emicrania con aura, caratterizzata proprio dalla presenza di debolezza motoria durante l’aura.

Questo caso» conclude il neurologo «è emblematico di come talvolta a essere invalidante non sia la cefalea di per sé, ma tutto il correlato clinico che precede il mal di testa. Marco è stato sottoposto a terapia farmacologica mirata a basso dosaggio, ha potuto sospendere gli antipsicotici e la sua vita è totalmente cambiata, anche perché ha potuto dare un nome preciso (e ottenere la giusta cura) a una cosa che gli capitava e che gli creava un’enorme disabilità».

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